lunedì 10 novembre 2014

Gesualdo da Venosa, Luca Marenzio, Luzzasco Luzzaschi: la raffinatezza del contrappunto profano in Italia

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Con Carlo Gesualdo, principe di Venosa (c.1561-1613), abbiamo un esempio della migliore produzione polifonica profana. Nel XVI secolo l’asse della cultura musicale tende a spostarsi progressivamente dalle Fiandre all’Italia, grazie alla vivacità del clima culturale favorito dal mecenatismo di corti come quella dei Medici a Firenze, dei Gonzaga a Mantova, degli Estensi a Ferrara, degli Sforza a Milano. I musicisti fiamminghi attirati, già dalla fine del Quattrocento, nella penisola divulgano le conquiste tecniche e il gusto della polifonia nordica: transitano in Italia musicisti di grande valore come Josquin Desprez, Alexander Agricola, Heinrich Isaah. Nei primi decenni del secolo XVI, i fiamminghi debbono scontrarsi comunque con una certa diffidenza della cultura umanistica italiana e con le difficoltà dei testi in italiano. Solo dopo il primo quarto di secolo la polifonia profana in lingua italiana, grazie anche alla diffusione della poesia petrarchesca, comincia a maturare e a prendere vigore.
In questo clima nasce il nuovo madrigale, che è un tipo di composizione ben diversa dal madrigale del Trecento: è una composizione polifonica, prima a 4 e poi soprattutto a 5 voci, su testi poetici relativamente brevi, che vengono musicati completamente, dall’inizio alla fine, senza ripetizioni, senza riprese o ritornelli. In queste composizioni cinquecentesche è sempre molto forte l’attenzione per il testo: la musica cerca di seguirlo con grande fedeltà, per evidenziarne ed esaltarne il significato.
Il successo del genere portò alla formazione di società e accademie i cui membri si ritrovavano per il piacere di delle esecuzioni di madrigali, che richiedevano ambienti raccolti, riservati, per poter godere a pieno della complessità della costruzione musicale e dell’aderenza estrema della musica al testo. La diffusione del genere madrigalistico è testimoniata anche dalle numerose edizioni a stampa.
Intorno alla metà del XVI secolo la struttura del madrigale tende a diventare sempre più complessa, con tecniche contrappuntistiche sempre più raffinate, e si diffonde l’uso dell’illustrare i significati delle parole musicate con espressioni musicali imitative (frasi spezzate quando si parla di pianto sfrenato, di singhiozzo, per esempio). Questa pratica è tanto legata al madrigale che è stata denominata proprio madrigalismo.
Nell’ultima parte del secolo, il madrigale si avvicina progressivamente ad altri generi musicali, di carattere più popolaresco, o spirituale (in particolare là dove è più forte lo spirito della controriforma dopo il concilio di Trento). Così per esempio, Alessandro Strigio, bolognese, spinge il madrigale in direzione descrittiva e realistica, e da lì nasce il madrigale dialogico o drammatico, che a sua volta darà vita alla commedia madrigalesca: la polifonia fiamminga, colta e complessa, è sempre più lontana e ci si avvicina a forme di teatro d’ispirazione popolare. Proprio negli ultimi anni del XVI secolo, l’Amfiparnaso di Orazio Vecchi e La Pazzia senile di Adriano Banchieri sono esempi della nuova direzione.
L’ultima produzione madrigalistica in senso stretto ha i suoi punti più alti in due grandi compositori italiani, Luca Marenzio (c. 1553 – 1599), tanto abile da meritarsi il soprannome di “dolce cigno”, e Carlo Gesualdo. Entrambi esperti in tutte le tecniche polifoniche, introducono spesso dissonanze e cromatismi (alterazioni della scala fondamentale del brano), grande variabilità nel ritmo; Marenzio ama anche gli effetti teatrali (come la suddivisione fra più cori, che dialogano fra loro).
Gesualdo è un personaggio da romanzo d’avventura: fuggito da Napoli dopo aver ucciso la moglie e il suo amante Fabrizio Carafa, finisce nel 1594 per sposare in seconde nozze Eleonora d’Este, nipote di Alfonso II, duca di Ferrara. Nella città degli Estensi trova un clima culturale propizio, per la presenza di musicisti raffinati come Alfonso Fontanelli e, soprattutto Luzzasco Luzzaschi, che Gesualdo ammira molto. Gesualdo pubblicò in tutto sei libri di madrigali: i primi due prima di lasciare Napoli per Ferrara; il terzo e il quarto rispettivamente nel 1595 e 1596, quindi poco dopo il trasferimento alla corte estense. il quinto e il sesto, dopo un lungo intervallo, nel 1611. I sei libri, insieme, furono poi ristampati nel 1613, testimonianza dell’apprezzamento di cui l’autore ebbe immediatamente a godere presso i contemporanei. I madrigali di Gesualdo, a partire dal terzo libro, hanno parecchie affinità con quelle di Luzzaschi, il che indica che il modo ardito di comporre non era una caratteristica esclusiva di Gesualdo, ma non sminuisce per questo l’originalità della sua produzione, nella massima parte a 5 voci, in cui l’attenzione per la parola, per il significato, il valore declamatorio ed espressivo sono spinti al massimo, con un gusto vicino a quello teatrale.
Pur di ottenere gli effetti desiderati, per mettere in risalto i testi e la musica (in genere testi molto brevi, di argomento amoroso, non particolarmente pregevoli sul piano strettamente poetico) non esita a impiegare dissonanze, armonie inconsuete e poco prevedibili, improvvisi cambiamenti ritmici: si sente in questi lavori un gusto che è già molto vicino al Barocco.

"Luci serene e chiare" (C.G. da Venosa)
"Veggo, dolce mio bene" (Luca Marenzio)


"O primavera" (Musica di Luzzasco Luzzaschi)


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