sabato 18 ottobre 2014

Il «Giovane Favoloso»: la sensibilità postmoderna che ha collocato Leopardi fuori dal suo tempo

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Il 16 ottobre 2014 è certamente una data che ha segnato le sale cinematografiche italiane con l’uscita del film storico-biografico “Il giovane favoloso”, incentrato sul racconto, attraverso focus dettagliati, della vita del poeta recanatese. È indubbiamente un film straordinario (e che tutti dovrebbero vedere) capace di sdoganare il luogo comune del «pessimismo cosmico leopardiano», diffuso in larga parte dalle interpretazioni errate di alcune antologie letterarie, e da credenze popolari e scolastiche.
Grazie alla brillante regia di Mario Martone, e alla magistrale interpretazione del protagonista, Elio Germano, il pensiero del poeta dell’Infinito diventa una sensibiletrasmutazione della realtà postmoderna ottocentesca: l’uomo, dapprima legato allanatura di una realtà illusoria, con il progresso della civiltà si è allontanato da questa condizione, sostituendo la natura con la ragione; e dunque dal ragionamento deriverebbe l’infelicità, e da questo status d’insoddisfazione perenne, come in un circolo vizioso, si tenderebbe nuovamente all’illusione, per andare incontro a una realtà diversa, felicementeincondizionata, ormai materialmente irraggiungibile.
Il Giovane Favoloso inizia con la visione di tre bambini che giocano dietro una siepe, nel giardino di una casa austera. Sono i fratelli Leopardi, e la siepe è una di quelle oltre le quali Giacomo cercherà di gettare lo sguardo, trattenuto nel suo anelito di vita e di poesia da un padre severo e convinto che il destino dei figli fosse quello di dedicarsi allo “studio matto e disperatissimo” nella biblioteca di famiglia, senza mai confrontarsi con il mondo esterno.
Mario Martone comincia a raccontare il “suo” Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo Giacomo nella ricerca costantemente osteggiata da Monaldo e da una madre bigotta e anaffettiva delineata in poche pennellate, lasciandoci intuire che sia stata altrettanto, e forse più, castrante del padre: sarà lei, più avanti, a prestare il volto a quella Natura ostile cui il poeta si rivolgerà per tutta la vita con profondo rancore e con la disperazione del figlio eternamente abbandonato.
La prima ora de Il giovane favoloso, dedicata interamente a Recanati, è chiaramente reminescente dell’Amadeus di Milos Forman, così come il rapporto fra Giacomo e Monaldo rimanda a quello fra Mozart e suo padre. Ma non c’è margine per lo sberleffo nell’adolescenza di Leopardi, incastonato nei corridoi della casa paterna e in quella libreria contemporaneamente accessibile e proibita. In queste prime scene prende il via il contrappunto musicale che è uno degli elementi più interessanti della narrazione filmica de Il giovane favoloso, e che accosta Rossini alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring (alias Apparat)e al brano Outer del canadese Doug Van Nort.
Attraverso un salto temporale, ritroviamo Leopardi a Firenze, dove avvengono gli incontri con l’amata Fanny e con l’amico Antonio Ranieri, entrambi fondamentali nel costruire la geografia emotiva del poeta. È del periodo fiorentino anche il confronto con la società intellettuale dell’epoca, che invece di cogliere la capacità visionaria di Leopardi in termini di grandezza artistica ne intuiscono la pericolosità in termini “politici”, in quanto potenziale sabotatrice di quelle “magnifiche sorti e progressive” che il secolo cominciava a decantare.
L’atto conclusivo, dopo una breve sosta a Roma, si svolge a Napoli, città per cui Martone prova un trasporto emotivo evidente nel rinnovato vigore delle immagini (ma il segmento potrebbe estendersi meno a lungo, nell’economia della narrazione). Alle pendici del Vesuvio si concluderà la parentesi di vita di Leopardi, strappandogli l’ultimo grido di disperazione con la poesia La ginestra, summa del suo pensiero esistenziale.
Martone racconta un Leopardi vulnerabile e struggente, dalla salute cagionevole e l’animo fragile, ma dalla grande lucidità intellettuale e l’infinita ironia. Elio Germano “triangola” brillantemente con le sensibilità di Leopardi e di Martone, prestando voce e corpo, sul quale si calcifica l’avventura umana e intellettuale del poeta, alla creazione di un personaggio che abbandona la dimensione letteraria, e la valenza di icona della cultura nazionale, per abbracciare a tutto tondo quella umana. La riscoperta dell’ironia leopardiana, intuibile nei suoi poemi, ben visibile nei suoi carteggi, è una potente chiave di rilettura moderna del poeta. “La mia patria è l’Italia, la sua lingua e letteratura”, dice il giovane Giacomo. E Martone ci ricorda che nella lingua e letteratura di Leopardi si ritrovano le radici dell’Italia di oggi.
In questo modo Leopardi esce dai sussidiari ed entra nella contemporaneità, continuando quella missione divulgativa che il regista napoletano ha cominciato ad intraprendere con Noi credevamo. Martone fa parlare i suoi protagonisti in un italiano oggi obsoleto ma filologicamente rigoroso, e fa recitare in toto a Leopardi le sue poesie più memorabili, strappandole alle pareti scolastiche e ai polverosi programmi liceali. Germano interpreta quei versi senza declamarli, reintegrandoli nel contesto umano e storico in cui stati concepiti, e restituendo loro l’emozione della scoperta, per il poeta nel momento in cui le ha scritte, e per noi nel momento in cui le (ri)ascoltiamo. Nelle sue parole torna, straziante, la malinconia “che ci lima e ci divora”, nei suoi dilemmi esistenziali ritroviamo i nostri.
Martone recupera anche la dimensione affettiva di Leopardi, raccontandolo con immensa tenerezza, e senza mai indulgere nella pietà per i tormenti fisici del poeta, che orgogliosamente rivendica la propria autonomia di pensiero intimando: “Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto”. E ne sottolinea la valenza politica, facendo dire al poeta: “Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici”. Infine identifica nel poeta un precursore del Novecento nel collocare il dubbio al centro della conoscenza: “Chi dubita sa, e sa più che si possa”. Quel che emerge sopra a tutto è una profonda affinità elettiva fra Martone e Leopardi, un allineamento di anime e di sensibilità artistiche: attraverso il poeta, il regista racconta quella condizione umana “non migliorabile”, a lui ben nota e non “sempre cara”, di sentirsi straniero ovunque e in ogni tempo. Il Leopardi di Martone si ricollega idealmente al Renato Caccioppoli di Morte di un matematico napoletano in quell’impossibilità per alcuni di essere nel mondo, oltre che del mondo.
Il giovane favoloso è un film erudito sulla sensibilità postmoderna che ha collocato Leopardi fuori del suo tempo, origine della sua immortalità e causa della sua umana dannazione. Martone costruisce una grammatica filmica fatta di scansioni teatrali, citazioni letterarie e immagini evocative ai limiti del delirio, come sanno esserlo le parole della poesia leopardiana. All’interno di una costruzione classica si permette intuizioni d’autore, come l’urlo silenzioso di Giacomo davanti alle intimidazioni del padre e dello zio, o le visioni del poeta nella parte finale della vita. Il giovane favoloso “centra” in pieno la parabola di un artista che sapeva guardare oltre il confine “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. E ci invita a riconoscerci nel suo desiderio di infinito.


Fonte: MyMovies.it : Paola Casella / Intro: Francesca Papagni
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lunedì 13 ottobre 2014

L’arte di ricordare il destino umano: Mondiano conquista il Nobel per la letteratura 2014

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È andato al 69enne francese Patrick Modiano il premio Nobel 2014 per la Letteratura. Scelto tra 210 scrittori, 36 dei quali candidati per la prima volta, il vincitore, deciso dai 18 giurati dell’Accademia Reale Svedese, è stato annunciato alle 13 precise del 9 ottobre a Stoccolma. Figlio di un ebreo francese di origini italiane e di un’attrice belga, Modiano è nato nel 1945 a Boulogne-Billancourt. Ha debuttato nella narrativa nel 1968 con La place de l’Etoilepubblicato da Gallimard. È oggi considerato uno dei più importanti narratori francesi.

Dice di Mondiano la critica: «L’arte di ricordare con cui ha evocato i destini umani più difficili da comprendere ha svelato l’universo dell’occupazione».

L’autore francese ha fatto della sua abilità scrittoria l’espediente con il quale è possibile rammentare il passato, che riaffiora puntualmente nella coscienza dei personaggi che animano le sue storie.
Come in L’orizzonte, infatti, le sue opere sono il frutto di una ricostruzione accurata degli eventi storici come la Seconda guerra mondiale, che hanno coinvolto persino il padre il quale, nel 1943, fu arrestato dal regime nazista, ma riuscì a fuggire grazie ad alcune conoscenze maturate fra i collaborazionisti. Di qui l’importanza, per lo scrittore, di ricordare gli episodi che hanno segnato l’umanità; il tutto elaborato con una scrittura limpida e intima, che dà la giusta musicalità alle parole che diffondono messaggi importanti. Non importa in che modo questi messaggi affiorino – se con un taccuino, come quello usato dal personaggio Jean Bosmans, oppure con l’incontro inaspettato fra un uomo e una donna come nel romanzo Un pedigree (Einaudi, 2006) –, l’importante è, appunto, non dimenticare.
La memoria ha una circolarità quasi perfetta. In quella degli eventi e del quotidiano raccontata nei romanzi di Patrick Modiano vale la stessa regola, una sorta di eterno ritorno che fa incontrare in atmosfere espressioniste ma non meno romantiche i suoi fantasmi più o meno inconsci: la guerra, il destino, la volatilità del tempo, la fuga e il pedinamento, la ricerca di un’identità, l’impossibilità di afferrare nettamente l’attimo e le vite, l’etereo volto delle donne. E una città, la sua Parigi periferica di Boulogne-Billancourt dove è nato nel ’45, che nei libri diventa la Parigi nebulosa del quartiere latino, del lungosènna, delle brasserie e dei caffè fumosi, nella quale Modiano travasa l’intimità enigmatica e a tratti noir del Simenon di provincia non giallista. Modiano è il narratore di un’umanità sguinzagliata dalla Storia che si affanna per trovarsi, ogni giorno.
La letteratura, dunque, si fa autobiografia. Brevi flashback si affastellano nella sua mente e non lo abbandonano fino a quando non avrà costruito la sua personale carta d’identità, il suopedigree. I volti, i nomi e le storie si combinano fra loro come le tessere di un puzzle dalle quali trapela un’epoca caratterizzata dall’orrore e dal disastro, ma anche dalla speranza di un futuro migliore. Perché quel pedigree è utile all’autore, che vuole liberarsi dalle delusioni affettive che hanno segnato la sua gioventù.
Nato il 30 luglio 1945 a Boulogne-Billancourt, nella regione dell’Île-de-France, da Albert Modiano – un ebreo francese di origini italiane – e da Louisa Colpijn, un’attrice belga di etnia fiamminga, dapprima studia in Alta Savoia, poi al liceo Henri-IV di Parigi, dove ha la fortuna di conoscere lo scrittore e matematico franceseRaymond Queneau, il quale gli aprirà le porte di quel mondo incantato che è la letteratura. Tuttavia col tempo questo rapporto fra insegnante e allievo si trasforma in amicizia, tant’è che il primo romanzo dello scrittore francese La Place de l’Étoile (Gallimard, 1968) è rivisto dallo stesso Queneau. Con questo romanzo ottiene un importante riconoscimento, il Prix Roger-Nimier. Fin da subito, perciò, dimostra di possedere grandi doti affabulatorie.
Da quel momento in poi la carriera di Patrick Modiano è in ascesa. Nella sua intera produzione, infatti, si ricorda Rue des boutiques obscures, con cui nel 1978 vince il premio GoncourtDora Bruder(Guanda, premio Bottari Lattes Grinzane Cavour sezione La Quercianel 2012), senza tralasciare i romanzi pubblicati in Italia dalla casa editrice Einaudi: Bijou(2005), Un pedigree (2006), Nel caffè della gioventù perduta (2010) e L’orizzonte (2012).
Patrick Modiano è riconosciuto, dunque, fra i più importanti scrittori contemporaneiviventi e grazie al Nobel vinto il 9 ottobre 2014 ha aumentato notevolmente il suo prestigio letterario. È stato scelto tra famosissimi scrittori, che già da anni figurano come possibili vincitori – Haruki Murakami e Umberto Eco ne sono un esempio. Quest’anno, con lui, a vincere è l’arte della memoria, l’arte della frammentarietà ricomposta: «Quei frammenti di ricordi corrispondevano agli anni in cui la tua vita è disseminata di bivi, in cui ti si aprono così tante strade da avere l’imbarazzo della scelta».
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domenica 5 ottobre 2014

La geometria di Escher in mostra a Roma

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Con oltre 150 opere, tra cui i suoi capolavori più noti come Mano con sfera riflettente (M.C. Escher Foundation), Giorno e notte (Collezione Giudiceandrea), Atro mondo II (Collezione Giudiceandrea), Casa di scale (relatività) (Collezione Giudiceandrea) s’inaugura a Roma, al Chiostro del Bramante, una grande mostra antologica interamente dedicata a Maurits Cornelis Escher, incisore e grafico olandese, che ne contestualizza il linguaggio artistico e racconta l’annodarsi di universi culturali apparentemente inconciliabili i quali, grazie alla sua arte e alla sua spinta creativa, si armonizzano, invece, in una dimensione visiva decisamente unica. Le opere saranno esposte nello Spazio del Chiostro dal 20 settembre al 22 Febbraio 2015.


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Escher è nato nel 1898 a Leeuwarden, in Olanda, ed è stato uno degli artisti grafici più famosi del Novecento: la sua produzione consiste soprattutto di incisioni e litografie, ed è conosciuto per le architetture impossibili e le rappresentazioni bizzarre.
Nei primi anni di attività, dal 1923 al 1935, visse in Italia, e in questo periodo si dedicò anche alla rappresentazione di paesaggi e architetture. Nonostante uno degli aspetti più studiati della sua produzione siano le implicazioni matematiche e geometriche delle sue rappresentazioni, Escher si dedicò a uno studio più approfondito della matematica solo a partire dalla metà degli anni Trenta. Dopo aver visitato l’Alhambra, il castello di Granada, costruito in stile islamico, si interessò alla “divisione regolare del piano”, una tecnica che consiste nel dividere uno spazio con figure di forma regolare senza sovrapporle né lasciare spazi vuoti, che Escher utilizzò in diverse sue opere. Morì a Laren, in Olanda, nel 1972.
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Le opere di Escher hanno una forte componente matematica, e molti dei mondi che ha disegnato sono costruiti attorno a oggetti impossibili come il Triangolo di Penrose oppure ad illusioni ottiche come il Cubo di Necker. In “Gravità”, invece, dei rettili multicolori sporgono le loro teste da un possibile dodecaedro stellato.
Le implicazioni logiche, matematiche, geometriche e fisiche sono piuttosto variegate, e coinvolgono concetti quali tra gli altri:
  • l’autoreferenzialità, appunto dove due mani si disegnano vicendevolmente.
  • I processi ricorsivi, quali l’Effetto Droste, collegati a particolari rotazioni del piano, come ingalleria di stampe, dove partendo dallo sguardo di un visitatore ritratto a osservare il paesaggio di quadro appeso nella galleria, lo sguardo prosegue passando impercettibilmente dal dipinto al paesaggio reale ritrovandosi, dopo un percorso circolare, a osservare la nuca del visitatore attraverso la vetrata della galleria esso, in una successione potenzialmente infinita.
  • Questioni di topologia, esempio la percorrenza di una superficie bidimensionale estesa in uno spazio tridimensionale come Nastro di Möbius percorso da formiche
  • L’infinito (sia filosofico che matematico), preludio alle geometrie frattali a sviluppo infinito, ad esempio nelle opere sul tema del limite del cerchio, dove un motivo ripetitivo si espande nell’infinitamente piccolo.
  • Il moto perpetuo, dove un trucco percettivo permette il disegno di una cascata che aziona un mulino e la stessa acqua torna ad alimentare la cascata.
  • Tassellature degli spazi bi e tridimensionali, impieganti “tessere” ripetute con tutte le possibili variazioni.
  • Dischi di Poincaré, in litografie come Il limite del cerchio figure simili sempre più piccole si susseguono all’infinito fino al bordo esterno di un disco.
  • Spazi dimensionalmente diversi che si incontrano, come in rettili, dove piccoli animali preistorici escono dal mondo bidimensionale di un libro, per poi ritornarvi.
In tutte le opere non vi è solo la fredda logica delle scienze esatte, ma mondi naturali con panorami, scorci, piante ed animali reali od immaginari intervengono ad arricchire i suoi lavori in un’ottica straordinariamente globale.
Hand_with_Reflecting_SphereBibliografia: Wikipedia, Michele Emmer. Il fascino enigmatico di Escher. CUEN, 1984
Leggilo anche su VENTONUOVO.EU, questa volta nella sezione Arte, Viaggi ed Eventi.