La Sonata per pianoforte numero 2 Op. 35 in Si bemolle minore fu composta da Fryderyk Chopin intorno al 1839 a seguito di un’idea musicale che egli aveva concepito ben due anni prima, all’epoca del soggiorno a Nohant nel castello dell’allora compagna George Sand; l’idea consisteva in ciò che poi sarebbe divenuto il terzo movimento della Sonata stessa, meglio conosciuto come Marcia Funebre.
La Sonata si compone di quattro movimenti:
La Sonata si compone di quattro movimenti:
- Grave – Doppio movimento
- Scherzo
- Lento: “Marcia funebre”, appellativo che gli è stato affidato per via delle sonorità tipiche di questo andamento.
- Finale – Presto
Come suggerito dagli stessi andamenti, la Sonata n. 2 Op. 35 è piuttosto contraddittoria: il susseguirsi dei quattro movimenti è a dir poco brusco ed irregolare, motivo per cui la critica musicale su questa composizione si è spesso divisa.
Una sorta di «poema della morte», simile ad un canto solitario, domina la partitura, soprattutto se pensiamo a come l’intera Sonata si coaguli attorno al suo centro ideale, la Marcia funebre. Certo la linea di fondo da cui si sviluppa l’intera Sonata lascia trasparire un tratto nichilistico, una sorta di concezione drammatica del destino umano. Questo spiegherebbe l’accentuata insistenza sulle tonalità minori che caratterizzano fortemente, con le loro tinte scure, tutti i movimenti. I profili tematici sono aspri e improvvisi, come succede nel Grave – Doppio movimento; oppure si traducono in funesti e cadenzati rintocchi di morte della Marcia, sferrati dal basso ostinato della mano sinistra, o si trasformano in linee melodiche intimistiche e sognanti (ascoltabili nella parte centrale della Marcia Funebre), o ancora sfilano via veloci senza un andamento chiaro, quasi come fossero fantasmi senza volto come si nota nel Presto finale, che in epoca romantica venne fantasiosamente visto come «il vento che soffia tra le tombe».
– Nel primo movimento, Grave – Doppio movimento, dopo i criptici accordi introduttivi dell’Esposizione, scorgiamo un angoscioso primo tema che, al contrario della norma, non tornerà nella Ripresa, per lasciare posto al morbido profilo del secondo tema (in Re bemolle maggiore) dal carattere sereno e trasognato; già nello sviluppo Chopin aveva sfruttato in toto le potenzialità del primo elemento che, ripetuto, sarebbe risultato pleonastico. Questa violazione delle regole compositive scandalizzò non poco musicisti e critici contemporanei, primo fra tutti Robert Schumann (che ne sottolineò però, in una famosa recensione, la genialità e la novità).
– Il secondo movimento, Scherzo, è dominato da forti contrasti: dall’esecuzione brusca del primo gruppo si passa al composito insieme del secondo, laddove prende avvio un’immaginaria e raggelante danza degli scheletri, che in poco tempo invade l’intera scena; poi, inaspettata, si apre la magnifica quiete del Trio nella sua bella melodia dalle ampie campate che ricorda un placido, ispirato Notturno, prima del martellante ritorno allo Scherzo iniziale.
– Il terzo movimento, Marcia Funebre, è caratterizzato da rintocchi del motivo principale i quali si stagliano tetri e immobili, sostenuti dalla lenta e ossessiva figura in ostinato della mano sinistra. Poi questo grigio canto di morte concede una tregua e si apre in un vivido messaggio di speranza emblematicamente spento nel finale dal cupo rullio del basso. Nella seconda parte della Marcia compare una melodia cantabile tipicamente chopiniana: tenera, ma triste e dolente, che pervade l’animo per il suo messaggio di calma rassegnata; solo alla fine torna a stagliarsi, implacabile, l’ombra ritmico-motivica costituita dal tema portante della Marcia funebre.
– Il Presto conclusivo è la fine di ogni illusione, «una sfinge dall’ironico sorriso» (cit. Robert Schumann). Nessun tema, accento o indicazione dinamica figura nella partitura, fatta eccezione per il fragore del fortissimo finale, cosa decisamente “sui generis” per Chopin, così attento alle raffinatezze di tocco e agli spunti spunti melodici; una serie di impetuose terzine che si muovono tutte uguali a sé stesse a distanza d’ottava, sempre sottovoce e legate, forma un circuito sonoro freddo, indistinto. È la sconvolgente rappresentazione musicale del senso del nulla, del gelo spirituale che porta alla morte: ancora una volta, scardinando le regole, il brano, accorciato, diviene un drastico epigramma.
Schumann rimase sconvolto, ma anche ammirato, di fronte a tanta arte: «Quello che appare nell’ultimo tempo sotto il nome di Finale è simile a un’ironia piuttosto che a una musica qualsiasi. Eppure, bisogna confessarlo, anche da questo luogo senza melodia e senza gioia soffia uno strano, orribile spirito che annienterebbe con un pesantissimo pugno qualunque cosa, volesse ribellarsi a lui, cosicché ascoltiamo come affascinati senza protestare sino alla fine – ma anche, però senza, lodare: poiché questa non è musica».