mercoledì 17 giugno 2015

Il “Teatro Sociale” di Christian Palladino: tra sensibilismo, relazionalità e sperimentazione.


di Francesca Papagni

San Giovanni Rotondo, 20 Giugno 2015: in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, questa è la data in cui il giovane regista sangiovannese, Christian Palladino, presenterà al pubblico locale la mise en scène di “...Ma liberaci dal mare...”, spettacolo di teatro sociale, avente come argomento cardine una tematica tanto spinosa – per l'assenza di opportune reti d'accoglienza – quanto reale: l'immigrazione in Italia nell'era post-moderna.

Una problematica attuale: in un simile contesto calzerebbe a pennello la dickensiana espressione «hard times, for these times» («tempi difficili, quelli nostri»), ma il nocciolo della questione risiede in una certa incapacità governativa di gestire un fenomeno sempre più dilagante, destinato a sconfinare territorialmente ed eticamente: si pensi alla strategica e proficua posizione “di mezzo” in cui è situato il nostro Paese, e a quel gorgo di preconcetti che i rifugiati in cerca di asilo, già sopravvissuti alle ingiurie dei propri territori, e alle insidie dei mari in tempesta, sono costretti ad affrontare e arginare quotidianamente.

Un teatro sensibile, che ingloba razionalismo e sperimentalismo: il cosiddetto “Teatro Sociale”, nato sulla falsariga della pedagogia di Freire, dei teatri del povero e dell'oppresso di Grotowski e Boal, e in seguito sbarcato in Italia grazie alle poliedriche personalità di attori del calibro di Dario Fò, Marco Paolini, Ascanio Celestini, è vera e propria traduzione moderna della parola creatività, e racchiude in sé una vera e propria dimensione sensibilista: è infatti il risultato razionale dell'espressionismo emozionale dell'individuo il quale ne prende parte. Privo di limitanti schemi tecnici e pragmatici, caratteristici del “teatro classico”, il teatro sociale si edifica sull'esperienza di laboratorio di gruppo. La parola laboratorio si può collegare in maniera diretta ad un certo sperimentalismo; il teatro fisico e tradizionale, costituito dunque da un palcoscenico, da una platea e da un pubblico immobile si muta, per trasfigurarsi in contesti sociali come centri di accoglienza, istituti comprensivi, scuole, per il coinvolgimento creativo di gruppi di individui che non incarnano propriamente la figura dell'attore professionista


Il ruolo dello spett-attore: scardinato da una drammaturgia lineare, costruttivismi ed esigenze di copione, il teatro sociale abbatte la barriera della “quarta parete”, e unisce assieme, in un binomio itinerante, lo spettatore e l'attore (da qui il termine “spett-attore”, ndr). Entrambi sono parte integrante di una situazione concreta, e sono chiamati a sentire – qui inteso come percepire – ed esplicare quei meccanismi sottili della sfera percettiva scaturiti dall'impatto diretto con la realtà. Il tutto è caratterizzato inoltre dall'assenza di una preventiva morale; lo stesso regista non vuole svelare nulla, ma intede creare una sorta di confronto-collisione tra il binomio sovracitato, al fine di cancellare quel senso di apatia e di non-partecipazione, che talvolta caratterizza le tradizionali platee. Le uniche citazioni che ne deriveranno potranno essere, quindi, una libera espressione dell'io (inteso come invididuo in una collettività) in determinati contesti, e nel caso specifico odierno, proprio in quello dell'ondata migratoria in Italia.

Se a teatro il testo non è tutto, se anche la luce è ugualmente un linguaggio, questo vuol dire che il teatro custodisce la nozione di un altro linguaggio, che utilizza il testo, la luce, il gesto, il movimento, il rumore. È il Verbo, la prola segreta che nessuna lingua può tradurre. È, in un certo qual modo, la lingua perduta dopo la caduta di Babele. (da Antonin Artaud, Il teatro del dopoguerra a Parigi, in Messaggi rivoluzionari, p. 99, a cura di Marcello Gallucci, Vibo Valentia, Monteleone, 1994)”

Il ruolo della “verbvm” nel teatro e nella comunicazione: con questa definizione quasi metafisica della parola comunicatrice, che mira a sottolineare l'importanza del verbo e dell'explicatio, suggerita direttamente dal creatore-regista del progetto, Christian Palladino, si esortara il pubblico a non rimanere nell'immobilismo stagnante di quella calm-apparente che si manifesta in vari momenti della propria esistenza, e a render-si forza motrice animante della funzionalità comunicativa nella società; attraverso la comunicazione si potrà giungere ad un equilibrio quantomeno stabile tra comunicante e comunicatore, e di conseguenza tra significante e significato, ovviamente applicati alla sfera sociale. “...Ma liberaci dal male...” dunque sarà uno spettacolo che tenterà di rispettare la veridicità di tali concetti... nella più assoluta semplicità ed efficacia dell'espressionismo comunicativo.