sabato 19 luglio 2014

Charles Dickens: introduzione alla critica utilitarista di fine Ottocento

Ben ritrovati, cari lettori.
L'articolo che oggi vi presento sarà il primo di una serie di riflessioni da me elaborate su quel periodo storico meglio noto col nome di Vittorianesimo. Gli articoli a seguire abbracceranno tematiche e autori interconnessi tra loro, con lo scopo di rendere più chiara e interessante una primavera oscura del pensiero umano, nata con i raggi dell'aurora utilitarista, e tramontata con la moderna ideologia positivista e marxista.

Charles Dickens (Porthsmouth, 1812 - Gad's Hill, Kent, 1870) è stato uno scrittore, giornalista e reporter di viaggio britannico. Famoso per le sue prove umoristiche ("Il circolo Pickwick") e per i suoi romanzi sociali ("David Copperfield", "Tempi difficili"), è considerato uno dei romanzieri più popolari di tutti i tempi. Nato in una famiglia piccolo borghese oppressa dai debiti (per tal motivo il padre finì in carcere), fu costretto a interrompere gli studi e a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe, ancora adolescente: questa precoce esperienza di umiliazione e abbandono rivivrà in molti dei suoi romanzi. 
Fu dapprima commesso e impiegato, poi cronista e collaboratore di romanzi umoristici, finché si ritrovò a vestire i panni dello scrittore di successo con "Il Circolo Pickwick" (1836) e "David Copperfield" (1849), pubblicati a cadenza mensile, legati entrambi allo scenario del primo industrialismo e ai suoi problemi sociali, ai gusti melodrammatici e ai pregiudizi moralistici della borghesia urbana, e caratterizzati da un vivo senso dello humor e da una pungente mistura di tragico e comico, grottesco e quotidiano. Le sue opere successive acquisteranno poi un tono più pessimistico e incisivo, - si pensi a "Casa desolata" (1852) e "Hard Times" (1854) - uno spessore psicologico più profondo, fino al cupo espressionismo de "Il nostro comune amico" (1864), il suo romanzo più complesso e disperato. A dispetto della straordinaria popolarità dei suoi romanzi, la fortuna critica di Dickens è stata piuttosto discontinua; riconosciuto ora come il massimo narratore inglese, egli crea una nuova forma letteraria, il romanzo sociale (industrial novel), nel quale si fondono due grandi filoni della narrativa inglese: quello picaresco e avventuroso e quello sentimentale.
Oppresso da eventi burrascosi, nel 1848 riesce comunque a mandare in porto il progetto del giornale periodico "Household Words", con l'intento di mescolare la narrativa e la polemica contro i mali del suo tempo. Nel 1859 fonda il periodico "All the Year Round", il quale ottiene uno strepitoso successo grazie a un nobile dell'epoca. Nel giugno del 1865 rimane coinvolto nell'incidente ferroviario di Staplehurst, evento che non riuscirà mai a cancellare dalla sua mente. Morirà nel 1870, a seguito di una lunga serie di affanni. Nel corso degli anni ha diviso in due la critica per la sua tendenza di ingigantire il già complesso problema della filosofia dell'utile, massimamente in voga ai suoi tempi, ma oggi è giustamente collocato nell'olimpo degli scrittori vittoriani.

Una delle sue opere in cui emerge a pieno il motivo dell'utilitarismo e della eradicazione dei valori morali e delle emozioni è la dedica al filosofo scozzese Thomas Carlyle "Tempi difficili (Hard Times)", del 1854. "Hard Times, for these times", come precisa il sottotitolo, vuole essere dunque un'anatomia di quel presente storico; l'aggettivazione «hard» introduce una indicazione critica nella fase centrale del Vittorianesimo, e rimanda sia alla pochezza dei fatti che costituiscono la base gnoseologica del positivismo, del pragmatismo e dell'utilitarismo inglese, sia alla durezza e inumanità delle condizioni di vita e di lavoro di chi subisce quel sistema economico: la classe operaia. Tuttavia Dickens stesso si rifiutò di riconoscere nel tema operaio la chiave unica della narrazione: non vi è una linea narrativa che abbia assoluta priorità rispetto alle altre, non vi è un eroe o un eroina su cui trasferire l'urgenza del suo messaggio e della sua visione. È lo Stato che nel suo processo di burocratizzazione diviene bersaglio della critica dickensiana, e se la vicenda operaia occupa la parte centrale della narrazione, la nota dominante, che ci presenta lo stato come "sovrastruttura" è quella che risuona per prima nei due capitoli iniziali, in cui la nozione di vita sociale coincide con i "fatti", conoscenza vuol dire scienza, misurabilità del reale, e di fronte a questo ogni soggettività umana (sentimento, immaginazione, amore verso il prossimo) diventa irrilevante.

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domenica 13 luglio 2014

“Lolita”: l'eleganza stilistica di Vladimir Nabokov che fa scandalo – Recensione



Vladimir Vladimirovič Nabokov (Pietroburgo, 23 aprile 1899 – Montreux, 2 luglio 1977) è stato uno scrittore, critico letterario, saggista, drammaturgo, entomologo e poeta russo. La sua prima produzione fu in lingua russa, ma ottenne la meritata fama con i romanzi scritti in lingua inglese.
L'opera più conosciua di Nabokov è il romanzo “Lolita” del 1955, e per la dettagliata eleganza stilistica con cui vengono narrate le scandalose vicende è passato alla storia come un'imperdibile pietra miliare della narrativa del XX secolo. Nel 1962 il regista Stanley Kubric trasse l'omonimo film, seguito poi da un altro romanzo, scritto in inglese: “Pale Fire” (Fuoco pallido); nel 1997 Adrien Lyne ne realizzò un remake, coinvolgendo un cast di tutto rispetto, del quale si ricorda un brillante Jeremy Irons.
Il termine lolita, complice anche la trasposizione cinematografica di Kubrick, come un neologismo è entrato addirittura nella cultura di massa e nel linguaggio e sta ad indicare giovanette sessualmente precoci o comunque attraenti. Nabokov compose anche altri scritti di argomento diverso, sull'entomologia e sul gioco degli scacchi. ("Pnin", "La vera vita di Sebastian Knight", "Un mondo sinistro") Il suo stile è ibrido, particolare, raffinato e coinvolgente; in “Lolita” spicca il tema dello «sdoppiamento esistenziale», un locus communis della letteratura russa, nonché solitamente dostoevskijano, e la scabrosa tematica della ninfofilia, che per l'immensa maestria retorica e psicologica dell'autore riesce a risultare amorosa piuttosto che incestuosa, e man mano che si procede nella lettura del romanzo sarà capace di suscitare le più disparate opinioni sull'ossessiva storia d'amore nel lettore, il quale non può far altro che rimanere incollato dinanzi alla malia delle pagine incestuose che vengono narrate, a caccia di un agognato finale.


Editore: Adelphi
Autore: Vladimir Nabokov
Traduzione: Giulia Arborio Mella
Collana: Biblioteca Adelphi, n° 278
Pagine: 395
Prezzo: 17,00 €


Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.”



Trama: Il Professore Humbert Humbert, voce narrante del racconto, annoiato insegnante quarantenne di letteratura francese da poco ripresosi da un matrimonio fallito, in seguito a un esaurimento nervoso, decide di dedicarsi completamente alla scrittura, trasferendosi a Ramsdale: qui affitta una stanza nella casa di Charlotte Haze, e per circostanze fortuite e inaspettate fa la conoscenza di Dolores Haze, figlia di Charlotte, dodicenne ribelle e maliziosamente spregiudicata che gli richiama in mente Annabelle, il suo primo amore da tredicenne. Nonostante la differenza di età, egli perde completamente la testa per la “ninfetta”, tanto da sposarne la madre Charlotte per rimanere al suo fianco. Poco tempo dopo però a Charlotte capita di leggere il diario dell'uomo; appresi così i veri sentimenti e le intenzioni di lui medita di andare via e inviare Dolores in collegio: scrive una lettera in cui minaccia Humbert di esporlo ad un pubblico scandalo come "detestabile, abominevole criminale bugiardo" ed è pronta per imbucarla nella cassetta della posta; tuttavia il destino interviene inaspettatamente a favore del professore: mentre Charlotte sta attraversando la strada in stato di shock, viene investita da un'automobile e rimane uccisa. 
Dopo la morte della signora Haze, Dolores e Humbert i due cominciano un lungo vagabondaggio da un motel all’altro in giro per gli Stati Uniti. I due sono seguiti da tempo da un uomo misterioso che talvolta avvicina con dei pretesti il professore cercando di metterlo in imbarazzo. Giungono infine in una nuova città dove Humbert ha un contratto come insegnante. Qui egli si fa passare per il padre di Lolita e la iscrive a una scuola femminile.
Lolita nel tentativo di ritagliarsi degli spazi di autonomia dall'asfissiante presenza di Humbert che, fattosi sempre più possessivo, la tiene praticamente prigioniera (vietandole di partecipare alle attività del doposcuola e soprattutto di frequentare i ragazzi), lo persuade a permetterle di frequentare una scuola di teatro dove ha modo di incontrare gli amici e il commediografo Quilty che aveva già conosciuto quando questi era stato ospite della casa della madre.
Durante le prove di una recita scolastica Quilty rimane fortemente colpito dalle capacità recitative di Lolita. Poco prima della serata d'inaugurazione Humbert e Lolita hanno una feroce discussione; la ragazza scappa via e l'uomo la ritrova in seguito mentre sta uscendo da una cabina telefonica: è raggiante, le dice che stava per raggiungerlo a casa e che ha preso una grande decisione. Mentre comprano da bere Lolita afferma che vuole rimettersi in viaggio.
Humbert, messo in difficoltà dalle voci poco gradevoli che il suo menage con la figliastra Lolita hanno ispirato alla comunità, decide di cogliere l'occasione al balzo e fuggire in auto, riprendendo così i loro vagabondaggi sulle strade d'America. Humbert però ha la sensazione d'esser seguito da un uomo misterioso che egli suppone essere dapprima un detective, e comincia a farsi via via sempre più sospettoso, temendo che Lolita lo conosca e che stia cospirando con altre persone al fine di sfuggirgli. Ad un certo punto la ragazza si ammala e viene ricoverata in ospedale e per la prima volta Humbert si ritrova dopo anni senza aver Lolita al suo fianco.
Una volta guarita Lolita riesce a sfuggire alla sua sorveglianza e a dileguarsi dall'ospedale, prima ancora che Humbert possa venire a prenderla, con un uomo adulto che al personale medico si fa passare per lo zio. Humbert, quasi impazzito, si dà ad una frenetica ricerca girovagando per miriadi di hotel e scoprendo, il più delle volte, che Lolita ed il misterioso uomo avevano soggiornato lì, ma sempre un passo prima che lui vi giungesse. Alla fine, egli finisce con l'arrendersi e, dopo svariato tempo, ha un rapporto con una donna di nome Rita, che dura due anni. L'anno seguente, Humbert riceve una lettera da Lolita, ormai diciassettenne, che gli scrive di essere sposata, in attesa di un figlio e bisognosa di denaro: Humbert va a trovarla e riesce a farsi dire il nome di chi l'aveva aiutata nella fuga dall'ospedale: Quilty.
Il regista aveva subito dopo cercato di farne una stella di film pornografici ma, al rifiuto di lei, l'aveva buttata in strada; Lolita ha fatto vari lavoretti prima d'incontrare e sposare il marito Dick (Richard), che non conosce nulla del suo passato e al quale ha raccontato di Humbert come fosse il suo vero padre. Dopo averle consegnato quattromila dollari, Humbert cerca di convincerla a venire via con sé, ricevendone però un secco rifiuto. A questo punto, nella più completa disperazione, Humbert va a cercare Quilty a casa sua e lo uccide a colpi di rivoltella; arrestato per l'omicidio, scrive in carcere, in attesa di processo, il libro di memorie: "Lolita o le confessioni di un maschio bianco vedovo".


Aberrazione, incredulità e amore vanno di pari passo nel romanzo; il peccato incestuoso viene coltivato come un fiore raro e prezioso, e, come un ragno nero tesse la sua tela, allo stesso modo il professor Humbert tesserà in maniera cupa il filo delle esistenze di Dolores "Lolita" e di sua madre, Charlotte.
Chi legge ha l'impressione di udire i battiti di un cuore che pulsa d'amore, ma i sogni che lo avvolgono sono oscuri e terribili.

"Vedete, io l'amavo. Era amore a prima vista, a ultima vista, a eterna vista!"
Ci si trova dinanzi ad un amore osceno e malato, conturbante, impossibile e condannabile per i canoni dell'etica morale, ma allo stesso modo coinvolgente per qualche strano meccanismo della psiche, al punto che il demoniaco Humbert da bestia/carnefice si trasmuta in protettore serafico in alcuni punti della narrazione, per quel sottile senso di retorica impietosa con cui formula accuratamente ogni suo pensiero.
Il lettore che si avvicina per la prima volta al capolavoro di Nabokov rimane segnato a vita: l'erotismo nero diventa sublime, e con una paratassi aulica e ricca di eloquenti metafore è ben reso il concetto di «possessione/ossessione».

Al tempo della pubblicazione il romanzo ha avuto notevoli difficoltà di diffusione, per la scabrosità del tema trattato; poche sono state anche le ristampe, ma infine è riuscito a guizzare in alto sulle vette di qualsiasi classifica letteraria, per l'incredibile stile prosastico di Nabokov.

È un libro vivamente consigliato a coloro che venerano l'introspezione degli autori russi, e agli amanti della letteratura in generale. Un talento come quello dell'autore non può essere messo nel dimenticatoio, e con "Lolita" l'arte di Nabokov è posta in una dimensione surreale, divina, raggiunge cioè la massima espressione significativa: da trascendente diviene immanente, e resterà assoluta perfezione nella storia della letteratura.


Francesca Papagni
Note bibliografiche: attinte dal web, (trama: Wikipedia), e dal romanzo stesso "Lolita" - Adelphi editore; rielaborazione personale.

L'articolo è visibile anche su www.ventonuovo.eu, nella rubrica Arte, Musica e Letteratura; per leggerlo, clicca QUI.

sabato 5 luglio 2014

Alfred Hitchcock: l'abbagliante filmografia del «maestro del brivido» del '900



Alfred Joseph Hitchcock è stato un regista e produttore cinematografico inglese, naturalizzato statunitense. È considerato un esponente di spicco della storia del cinema, ed è stato soprannominato il «maestro del brivido» per la sua notevole capacità di suscitare paura e tensione nell'animo dello spettatore.

Nasce a Leytonstone, nei pressi di Londra, il 13 agosto 1899. Inizia a lavorare nel cinema alla giovane età di ventun anni, prima come disegnatore di didascalie per i film muti, poi come aiuto-regista, sceneggiatore e scenografo. Ha girato complessivamente cinquantaquattro film, in un periodo di attività che va dal cinema muto, agli anni settanta.

Nel 1925 dirige il suo primo film "Il giardino del piacere", dramma sentimentale a cui fa seguito "Il pensionante", il primo dei suoi thriller, che lo consacrerà al grande pubblico. Qui Hitchcock inaugura l'usanza dell'apparizione breve (cameo), fenomeno alquanto singolare che comparirà in molti dei suoi film.
La produzione cinematografica degli anni '30 segna la fortuna del film "L'uomo che sapeva troppo", del 1934, di cui il regista farà anche un remake nel 1956. Nella trama a spiccare è una tranquilla famiglia, che viene coinvolta suo malgrado in un complotto internazionale; il tema dell'innocente perseguitato, coinvolto in una vicenda più grande di lui, sarà ricorrente nella produzione del regista britannico.

Hitchcock si rivela un maestro nell'arte del creare «suspance», quella tensione che si ottiene svelando allo spettatore particolari dettagli che i personaggi, spesso in pericolo, ignorano; ma lo stile del regista si caratterizza anche per un acuto umorismo nero, che spinge lo spettatore a ragionare su delle tematiche talvolta molto serie, se non addirittura tabù.


« Il pubblico cerca sempre di anticipare. Gli piace dire: "Ah, io so cosa succederà adesso". Non soltanto bisogna tenerne conto ma occorre pilotare rigorosamente i pensieri degli spettatori. Il regista è costretto a raccogliere la sfida: "Ah sì? credete? lo vedremo". Il pubblico è molto più spaventato da ciò che immagina piuttosto che da ciò che vede realmente.»
(Alfred Hitchcock in François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock)

Nel 1939 si trasferisce negli Stati Uniti: lo spartiacque nella carriera di Hitchcock è rappresentato proprio dal trasferimento da Londra ad Hollywood, tant'è che è alcuni critici e studiosi suddividono la sua produzione in due periodi, quello inglese (1925-1939) e quello americano (1940-1976).

Il suo primo lavoro hollywoodiano è "Rebecca la prima moglie", thriller psicologico che vincerà l'oscar come miglior film; nel 1946 esce "Notorious", che su una trama di spionaggio innesta un'appassionata storia d'amore. Più sperimentale è il film "Nodo alla gola": qui Hitchcock riesce a mantenere alto il livello d'attenzione, nonostante le scene si svolgano in una sola stanza e vengano filmate con solo una decina di movimenti di macchina, unite in modo da sembrare un solo grande movimento in un unico piano-sequenza.
"La finestra sul cortile", storia di un uomo che scopre un omicidio osservando i propri vicini dalla finestra della propria abitazione, è invece una raffinata metafora del cinema: il protagonista, che guarda il mondo dalla finestra, è come uno spettatore che guarda una proiezione in una sala cinematografica;

Nel 1955 il regista è l'ideatore di una fortunata serie televisiva dal titolo "Hitchcock presenta Hitchcock", che lo rende ancora più popolare. La caricatura che compare nei titoli è stata realizzata dallo stesso Hitchcock.



Gira poi altri capolavori come "La donna che visse due volte", labirintico giallo dai profondi risvolti psicologici, e la spy story "Intrigo internazionale". Ma il titolo più celebre è "Psycho", che ha per protagonista l'inquietante proprietario di un motel; il film contiene una delle sequenze più note della storia del cinema: l'uccisione sotto la doccia della protagonista femminile.
Nel 1963 Hitchcock ottiene un altro straordinario successo con "Gli uccelli", in cui una piccola e discreta città viene terrorizzata dai compulsivi e violenti attacchi di corvi e gabbiani.

Il «maestro del brivido» si ritirerà dalle scene circa dieci anni dopo, nel 1976, e si spegnerà a Los Angeles il 29 aprile del 1980 all'età di ottant'anni.
Per celebrare la sua memoria, nel 2012 è uscito nelle sale cinematografiche "Hitchcock", film fortemente biografico incentrato sul rapporto tra il regista stesso e sua moglie durante la lavorazione del film "Psycho".



L'apparizione della fantomatica sagoma del maestro è stata sempre accompagnata dal breve componimento"Funeral March of a Marionette" di Charles Gounod, scritto dapprima per pianoforte nel 1872, poi orchestrato nel 1897, per giunta scelto da Hitchcock stesso come tema musicale della sua serie televisiva. Resta tutt'oggi la sigla-emblema che richiama alla mente dell'ascoltatore la figura hitchcockiana.


Francesca Papagni

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