Con la Rivoluzione d’ottobre del 1917, la storia della musica dei paesi dell’Unione Sovietica prende una strada largamente indipendente da quella della musica occidentale. Non priva di legami con il resto del mondo per i primi tempi, si chiude poi su sé stessa dalla fine degli anni ’20, con l’affermarsi dell’estetica del realismo socialista, che bolla volta a volta come “formalismo” l’adesione alle nuove correnti, espressionistiche, atonali o variamente sperimentali e moderniste. Nel periodo staliniano il mancato rispetto di un indirizzo che voleva musica celebrativa e musica a programma (più facilmente adattabile a fungere da veicolo ideologico) portava a un isolamento culturale non facilmente sostenibile. Solo dopo la morte di Stalin, con il progressivo “disgelo” e la politica della coesistenza pacifica, l’espressione artistica, non solo in campo musicale, si apriva nuovamente a linguaggi più estesi, alla sperimentazione e agli scambi con il resto del mondo.
Due figure emergono nettamente in questo panorama: quella di Sergej Prokof’ev e quella diDimitrij Sostakovic. Anche se nel periodo più intollerante i due musicisti, più o meno convinti, non poterono che adeguarsi alle richieste ufficiali, sono rari i momenti in cui la loro grandezza non traspare comunque dalle composizioni, sia pure improntate a intenti celebrativi.
Prokof’ev, peraltro, nato in Ucraina nel 1891, che nel secondo decennio del secolo aveva già raggiunto buona fama come pianista, lasciò l’Unione Sovietica nel 1918 e vi fece ritorno solo una quindicina d’anni dopo, convinto dalle difficoltà incontrate in Occidente e dall’esito trionfale con cui fu accolta una sua tournée in patria, ma portò con sé un bagaglio notevole di conoscenze dell’evoluzione musicale contemporanea (Sostakovic al contrario non lasciò mai il paese se non per brevi visite ufficiali).
Prokof’ev, peraltro, nato in Ucraina nel 1891, che nel secondo decennio del secolo aveva già raggiunto buona fama come pianista, lasciò l’Unione Sovietica nel 1918 e vi fece ritorno solo una quindicina d’anni dopo, convinto dalle difficoltà incontrate in Occidente e dall’esito trionfale con cui fu accolta una sua tournée in patria, ma portò con sé un bagaglio notevole di conoscenze dell’evoluzione musicale contemporanea (Sostakovic al contrario non lasciò mai il paese se non per brevi visite ufficiali).
La Sesta Sinfonia, composta tra il 1946 e il 1947 ed eseguita per la prima volta a Mosca in quello stesso anno, sotto la direzione di Evgenij Mravinskij, seguiva a breve distanza la Quinta, che aveva celebrato la conclusione del secondo conflitto mondiale ed era stata accolta con caloroso successo.
La Sesta sinfonia è, coerentemente, una commemorazione dei morti e una denuncia degli orrori della guerra. Il momento però non era propizio per questo tipo di riflessione, mentre la parola d’ordine era inneggiare alla vittoria del popolo russo e alla grandezza di Stalin, celebrare la gioia della ripresa dopo il conflitto; così la sinfonia fu accolta piuttosto male e Prokof’ev cercò di difenderla sostenendo che gli era stata ispirata dalla “forza spirituale” dell’uomo, la quale si è manifestata così vigorosamente in quell’epoca. In sua difesa si pronunciò Mjaskovskij, un altro musicista importante di quel periodo. Egli scrisse: «Ho cominciato a capire la sinfonia soltanto al terzo ascolto, e allora ne sono stato conquistato…sebbene ci fosse nell’orchestrazione qualcosa di indefinitamente oscuro e rude.»
Il primo movimento, “Allegro moderato”, alterna una serie di melodie tristi e di esplosioni sonore a un andamento musicale da marcia funebre, che fa pensare alla Quinta Sinfonia di Mahler; il secondo movimento, “Largo”, si apre con un angoscioso “scoppio” dell’orchestra e prosegue con una musica talvolta evocativa, altre lirica, a volte grottesca. Completamente opposto è invece il carattere musicale del finale, “Vivace”: una sorta di rondò/sonata (temi A-B- Sviluppo-A-Coda). Di questo piacevolissimo brano, particolarmente interessante è la lunga sezione dello Sviluppo: dapprima il compositore gioca grottescamente con il primo tema A; elabora poi il secondo B, infine li pone entrambi l’uno sull’altro.
Listen to: Cinderella’s Waltz, from Suite n.1, for orchestra, by S.Prokof’ev
I Sei Valzer dell’opera 110, completata subito prima della Sesta Sinfonia, sono brani ricavatida altre opere: tre dal balletto Cenerentola, una delle opere più fortunate di Prokof’ev; due daGuerra e Pace, dramma lirico tratto dal romanzo di Tolstoj, a cui il compositore lavorò a lungo, ma che fu rappresentato per la prima volta solo dopo la sua morte; l’ultimo, infine, dallacolonna sonora di un film, Lermontov.
I Sei Valzer dell’opera 110, completata subito prima della Sesta Sinfonia, sono brani ricavatida altre opere: tre dal balletto Cenerentola, una delle opere più fortunate di Prokof’ev; due daGuerra e Pace, dramma lirico tratto dal romanzo di Tolstoj, a cui il compositore lavorò a lungo, ma che fu rappresentato per la prima volta solo dopo la sua morte; l’ultimo, infine, dallacolonna sonora di un film, Lermontov.
Ricerche e note bibliografiche: Virginio Sala.
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